Pamela S. Reynoso Guzmàn [Repubblica Dominicana]
MIGLIAIA DI VOLTI E UNA BAMBOLA
Una vecchia casetta che sembrava “turchese” era in mezzo a un grande terreno circondata di alberi e fiori, proprio tanti alberi e fiori. Eh sì, a mamma guela piacevano tanto i fiori, erano la sua passione e anche la sua maniera di sentirsi in pace con il mondo. Diceva che ogni volta che piantava un seme rinasceva insieme a loro. A Mamma guela piaceva anche decorare il suo angolo favorito che si trovava accanto alla finestra dove c’era una mensola grande, modesta, imponente e un tantino folkloristica. Su questa mensola era sistemato tutto in maniera strategica, c’era un po’ di tutto. C’era qualche foto dei nipoti o della famiglia e nella parte superiore, sia a destra sia a sinistra, c’erano due vasi con dei fiori di diverso tipo: a volte artificiali altre naturali, questo dipendeva – credevo – dalla stagione, anche se da noi fa sempre caldo. Ad ogni modo i fiori erano molto belli e ci donavano tanta gioia. C’era anche qualche souvenir, qualche cristallo colorato e tante altre cose ancora tra cui una bambola di farro delicata, sensuale e piena di storia, che era la sua favorita perché se ne prendeva cura con una sorta di gelosia. La mensola veniva spolverata una volta a settimana con dei panni di cotone che erano molto morbidi, adatti per eseguire il delicato lavoro. Questa tipologia di panni non permetteva di spandere la polvere e, secondo lei, faceva brillare le ceramiche davvero bene. Solo lei poteva toccare, spolverare e spostare le cose all’interno della mensola, sopratutto la bambola prediletta. Sapendo che lei non permetteva mai a nessuno di toccare la mensola, rimasi sorpresa una mattina di particolare bellezza, mentre raccoglievo pomodori, origano e specie varie nel nostro orto giardino, quando mamma guela mi chiese di spolverarla.
Con grande stupore e nervosismo, mi mossi per cominciare il lavoro richiesto. Mi fermai all’ingresso e notai che all’interno della nostra casetta, accanto alla finestra e davanti alla mensola, mi aspettava mamma guela con l’inseparabile panno di cotone in mano. «Facciamolo insieme», disse lei e iniziò dal ripiano più basso, mentre io cominciai invece da quello più alto. A dire il vero, credevo che fosse un lavoro molto lungo e noioso ma non lo era affatto. Al contrario, il lavoro divenne molto interessante e piacevole. Ogni singolare oggetto aveva la sua magia e perciò si rimaneva incantati solo con il tocco di uno di loro. Nonostante il soddisfacente compito, la mia ansia iniziò a crescere ogni volta di più notando che rimanevano pochi oggetti e tra quelli c’era la bellissima bambola colorata con la sua lunga e delicata treccia, il suo vestito pittoresco colmo di vita, e per ultimo – ma elemento ancora più importante – il suo cestino pieno di fiori che portava in testa. Mamma guela prese il penultimo articolo che era un bellissimo e maestoso elefante, da cui rimasi colpita per via delle sue lunghissime zanne.
Mentre lei lo puliva con cura canticchiando, io ero completamente paralizzata davanti alla bambola senza permettermi neanche di toccarla.
– Sei stanca? – mi chiese finalmente dopo qualche secondo che mi sembrò un’eternità.
– No mamma guela.
– Allora non abbiamo ancora finito, prendi l’altro pezzo di panno pulito e pulisci la bambola.
Mi misi a lavorare per finire il nostro delicato compito.
– Lo sai, cara?
– Sì, mamma guela…
– Questa bambola apparteneva alla tua bis bis nonna, mi è stata donata quando avevo vent’anni e come hai già notato è una bambola molto particolare perché è priva di lineamenti. Dicono che la sua mancanza di volto sia frutto della mescolanza delle razze africane, spagnole e taine. Questa bambola è come se non avesse una sola razza definita o predominante perciò non può avere un volto proprio – disse mamma guela.
– Oh, ecco perché non ha la bocca, il naso, né tanto meno gli occhi – riuscii solo a dire come se fossi stata ipnotizzata da quella storia; infatti lo ero, perché non riuscivo a distogliere lo sguardo né da mamma guela né dalla bellissima bambola.
– Comunque, che peccato vorrei tanto che la bambola avesse un volto, mamma guela.
– Capisco… Sei confusa, ma puoi fare sempre una cosa sicuramente, cara.
– Cosa, mamma guela? –, domandai con il desiderio crescente di sapere, senza nascondere ovviamente la mia ansia di scoprire cosa avrei mai dovuto fare per far sì che quella bambola avesse un volto.
– Semplice, puoi immaginarlo, cara.
– Immaginarlo?
– Sì, ad esempio puoi immaginare, mentre guardi la bambola, il volto di tua mamma, di un’amica o di una donna qualunque che hai incontrato per strada, in tal modo lei avrà un volto. Io, per esempio, quando la guardo vedo te, cara, e per questo motivo da oggi la bambola è tua. Vorrei donartela come è stata donata a me tanto tempo fa. So che saprai prenderti cura di lei, apprezzarla e soprattutto che saprai cosa fare con lei da adesso in poi.
Io non stavo nella pelle dalla felicità, non riuscivo a crederci e con gli occhi pieni di lacrime, ormai sopraffatta dall’emozione, abbracciai mamma guela e la ringraziai! Lei mi guardò teneramente e mi rivolse un sorriso compiaciuto, dopodiché mi disse:
– Abbiamo finito cara, vai pure.
Mi diressi verso la mia stanza con il mio nuovo tesoro, rimasi a lungo ad ammirarlo e a pensare al bel momento magico appena vissuto; con grande cura posizionai il mio nuovo dono sopra il tavolino accanto al mio letto. Era la posizione giusta, da lì avrei potuto ammirarla prima di addormentarmi, ogni sera.
Molto lontana da casa, trascorso tanto tempo dalla bella e tiepida mattina in cui avevo scoperto quanto è bello essere donna, mentre camminavo per la magica e meravigliosa Roma, incrociai lo sguardo penetrante e caldo di una bellissima bambina, che saltellava vivacemente per gli stretti vicoletti della città eterna. Mi riguardò ancora e proprio lì mi fece un sorriso, che secondo me era molto simile a quello di mamma guela il giorno in cui mi aveva donato la bambola, mi trasmise lo stesso effetto di “pace e gioia”. La madre della bimba, che era poco distante da noi, si avvicinò e disse:
– È molto vivace, spero che non ti abbia importunata.
– Ma no, anzi, ha solo ripreso la sua palla e ha continuato a giocare, ha una bellissima bimba complimenti.
– Molte grazie, signorina, molto gentile! Sai, il tuo sguardo trasmette molta tenerezza, tieni, ti do un souvenir. Torniamo dalla sua festa di compleanno e mi farebbe piacere regalarti questo piccolo fiocco che è l’ultimo rimasto. Adesso devo proprio scappare. Ci aspettano. Valeria di’ ciao!
Senza che io riuscissi a dire nemmeno una parola, madre e figlia sparirono fra la folla.
– Grazie tante per il dono, Valeria! – gridai finalmente.
Quella notte nell’intimità della mia stanza, mentre ascoltavo il silenzio della città ormai addormentata, presi il fiocco e lo misi accanto alla mia imponente bambola. Mentre la guardavo, immaginai quella bellissima bambina e il suo affascinante sguardo sorridente. E proprio in quel momento ricordai il volto di mamma guela. Credo che lei sarebbe stata felice di sapere che ero riuscita a immortalare quel momento. Sopraffatta dell’emozione e con il cuore colmo di felicità, mi addormentai lieta di sapere che quella notte i miei sogni non erano soli.